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L’immagine emblematica e potente di Cristo, ha pervaso la storia dell’umanità e, parallelamente, la storia dell’arte, divenendo banco di prova di canoni estetici e morali, dai più sublimi miraggi dell’arte delle icone bizantine e ortodosse, alle possenti e drammatiche rappresentazioni della pittura europea, fino agli spettacolari esiti della statuaria contemporanea come quella del cristo redentore di rio de janeiro.
Una visione semplice come quella di Gesù a braccia aperte, che contempla dall’alto, protegge, giudica e conforta è la via diretta per confrontarsi col mistero del sovraumano, con una vita ulteriore, con un diverso ordine morale, con una possibile legge “fuori” dalla legge umana.
Il gesto sotteso a I wish you could see what I can see è ribaltamento che dà vita ad un Gesù con la testa rigirata all’indietro. Ogni ribaltamento è di per sé un movimento che esaspera una realtà, facendone scaturire conseguenze imprevedibili, e s’inscrive in una tradizione di rivoluzioni, interna alla storia dell’umanità e alla storia dell’arte. Forse il Gesù che conosciamo dalla didattica religiosa è solo un paravento. Il “vero” Cristo richiede un taglio netto con le quieta apparenze del reale obbligandoci a un confronto duro con i presunti confini delle regole umane e ponendoci all’interno del dilemma della scelta e della legge, “fuori” della legge condivisa.
Nella sua elementare “difformità”, questo Cristo porta in sé una frattura letterale e metaforica allo stesso tempo; è un ossimoro della contraddizione del divino, ma anche della natura umana, dettato da un moto di disgusto ma anche dalla tensione a un altrove da scoprire o inventare.
Le parole che danno il titolo all’opera, utilizzate come una frase tratta dai Vangeli attribuita a Gesù, sono quelle pronunciate da un uomo, poco prima di lanciarsi a caduta libera da una capsula spaziale posta a trentanovemila metri d’altezza nella stratosfera, atterrato poi sulla terra con il solo aiuto di un paracadute. Di quest’uomo l’installazione lascia delle tracce in dialogo col Cristo, in un delicato equilibrio fra ascetismo e disciplina dell’improbabile.
I wish you could see what I can see (vorrei che poteste vedere quello che vedo io) è un invito fatto da un uomo all’umanità intera che lo guarda mentre “cade” sulla terra. Allo stesso modo Gesù ha pronunciato parole che invitano a cambiare la prospettiva su se stessi, sugli altri e sul mondo, piombando anch’egli da vertiginose altezze, non necessariamente divine ma sicuramente spirituali. I wish you could see what I can see è un’opera profondamente umanista che esorta a guardare all’improbabile come a una possibilità reale, a tendere ad altezze sempre maggiori per poi tornare sulla terra con uno sguardo rinnovato. I wish you could see what I can see è anche un interrogativo aperto nella visione del mondo, uno squarcio nel baratro dell’intima fragilità della società degli uomini, un delicato e dolente atto di pietà nei confronti della “ferita” che è l’essere al mondo.
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