Amici, citazione del noto programma televisivo di mediaset, coinvolge un certo numero di persone, fra uomini, donne e bambini, reclutati con un passaparola informale fra amici e conoscenti. I loro corpi e le loro passioni personali diventano il fulcro di “un’installazione di corpi umani dotati di vita privata”: essi sono a disposizione del pubblico per conversare telefonicamente sugli argomenti più disparati. Le persone che costituiscono l’installazione possono essere esposte in contesti diversi che alterano il rapporto con i visitatori: sistemati in fila, nella vetrina di un negozio, oppure seduti, secondo uno schema geometrico su una terrazza della città, visibili solo grazie a dei binocoli che vengono forniti al pubblico. Indossano una maglietta bianca con un codice e sono provviste di un telefono cellulare. Ognuno di loro è pronto a colloquiare su alcuni argomenti della propria vita pubblica e privata scelta. Un catalogo fotografico e un videoclip in cui sono presenti le schede di ognuno di loro aiuta il pubblico a scegliere con chi parlare. In passato, molta body art vedeva il corpo come campo di battaglia ideologico o come luogo di costruzione d’indentita’. Oggi quel corpo diviene corpo di gente comune la cui vita privata viene rivoltata fino a diventare pubblica: ciò che era interno diventa esterno, quel che era vissuto personale diventa viva materia di conversazione.
L’operazione concettuale implicita in Amici arriva a inglobare in questa esposizione pubblica di amici reali anche le traiettorie di vita di chi “assiste” all’installazione, creando spazi di socialita’ artificiale in cui si sovrappongono senza piu’ possibilita’ di discriminazione, i luoghi della rappresentazione, i luoghi della visione e i luoghi della socialita’.
Da “Arte, corpo e giochi di società” di Elio Castellana, in Ipercorpo di Paolo Ruffini (2005), ed. Editoria e Spettacolo.